Insieme davanti ad un falò e in accampamenti di fortuna per esorcizzare la paura della scossa e del domani facendo leva sul senso di solidarietà e di comunità.
Ricordi indelebili per chi ha vissuto quei momenti.
Sono trascorsi 42 anni dal terremoto del 1980. Era domenica il 23 novembre quando alle 19:34 un sisma di magnitudo 6.9 sconvolse le vite di campani e lucani.
L’emblema della drammaticità di quell’evento resta il titolo de Il Mattino: “Fate Presto”, a caratteri cubitali si chiedeva aiuto per intere popolazioni spaventate e inermi. Parole potenti. Rimandano a quei tragici secondi, che poi divennero ore, giorni, settimane e mesi vissuti tra lo sgomento e la paura dalle popolazioni più colpite.
Quasi 3000 morti, circa 8900 feriti, oltre 280mila sfollati: sono i numeri della tragedia, le conseguenze di 90 interminabili secondi che portarono al disastro le cui macerie in alcuni casi sono visibili ancora oggi. È stato il sisma più violento dal dopoguerra ad oggi, mise in luce varie problematiche tra cui la fragilità del patrimonio edilizio italiano, l’enorme ritardo nei soccorsi e l’urgenza della realizzazione della moderna Protezione civile.
Le province più colpite, tra la Campania e la Basilicata, furono quelle di Avellino, Salerno e Potenza. Fu colpito anche il territorio del Vallo di Diano. Il riunirsi davanti ai falò della memoria è stato, per anni, qui una consuetudine ed una tradizione per ricordare quei momenti di terrore sì ma anche il grande senso di solidarietà e di fratellanza che a 42 anni di distanza è l’unico ricordo vivo e positivo dopo quei novanta secondi di terrore.