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Un interessante inchiesta pubblicata sul sito web di Italia Aperta (http://www.italiaperta.it/) ripropone il tema particolarmente attuale del rapporto tra il mancato sviluppo del territorio a sud di Salerno ed il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e degli Alburni. Emblematico il titolo dell’articolo, a firma di Antonluca Cuoco, Coordinatore territoriale della Campania per Italia Aperta: “Parco del Cilento: tutela del territorio o autoconservazione della peggiore specie?”. Un dubbio più che legittimo, visto che a 20 anni dalla sua nascita ai cittadini del Cilento e del Vallo Di Diano non è ancora chiaro quale sia concretamente il ruolo dell’Ente Parco, istituito nel 1991 con la legge quadro sulle aree protette, e che si estende per una superficie di 181mila 48 ettari e comprende 8 Comunità Montane e oltre 80 Comuni. “Nel 2013 –scrive Cuoco- verranno spesi 315 mila euro per la riqualificazione ambientale e la manutenzione di beni di proprietà dell’Ente. Altri 268 mila euro sono stati utilizzati per la demolizione di edifici abusivi nel comune di Montecorice, la cui costruzione è avvenuta chiaramente di notte, con le autorità di vigilanza bendate e l’Ente Parco voltato di spalle o troppo impegnato nell’attività di tutela del territorio”. Per quanto riguarda la valorizzare del territorio e delle produzioni locali, Cuoco sottolinea come all’Area promozione, al netto degli stipendi e degli acquisti di beni e servizi, venga destinata poco più del 5% della spesa complessiva dell’Ente. Tra i paradossi segnalati dall’inchiesta, si scopre che il Parco stanzia 200 mila euro per interventi di prevenzione dei danni da fauna e contemporaneamente ne spende 192 mila per rimborsare i danni provocati dalla fauna stessa: dunque probabilmente si tratta di una prevenzione quantomeno insufficiente se non inutile. Dal 24 aprile 2013 gli uffici del Parco sono stati spostati nel “Centro Studi e Ricerche sulla Biodiversità”, una struttura di nuova realizzazione, nata per essere un vero e proprio campus dotato di laboratori, biblioteche e museo delle specie, ma che è divenuta la sede dell’attività amministrativa dell’Ente Parco. “Il tutto per la gioia di ricercatori e studenti –sottolinea Cuoco- che finalmente avranno occasione di studiare da vicino il comportamento di una specie molto particolare: il “Politicus Cilentanus”. Ironia a parte, molti cittadini e imprenditori cilentani e valdianesi sono ormai convinti che il Parco, da potenziale volano della crescita e dello sviluppo di un territorio incontaminato e selvaggio, è diventato probabilmente una delle cause dello spopolamento a cui stiamo assistendo. La duplicazione di funzioni, il moltiplicarsi di adempimenti e di pareri vincolanti, spesso troppo soggettivi, ed il conseguente allungamento dell’iter burocratico per il rilascio di autorizzazioni, non ha fatto altro che scoraggiare ulteriormente le già modeste iniziative imprenditoriali. Eppure proprio la valorizzazione del territorio e delle risorse ambientali nonché la riscoperta dell’agricoltura potrebbero trainare la ricrescita economica. “Ma per questo -conclude il Coordinatore territoriale per la Campania di Italia Aperta- servirebbe un Ente Parco forte, solido e concreto su cui poter fare affidamento, capace di farsi portatore e promotore delle tipicità locali, e sotto il cui ombrello poter raccogliere più prodotti e più produttori. Sarebbe forse l’unica occasione di ripresa economica e l’ultima alternativa ad un veloce inesorabile declino”.