La “mancanza di visione” della politica locale

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La paventata invasione delle trivelle ha rimesso in fermento la classe politica locale che si è compattata intorno al No al petrolio in nome della tutela del territorio. E’ proprio ciò che ci si aspetta da chi è chiamato ad amministrare che sostenga il territorio e tuteli chi ci vive: sarebbe preferibile che lo facesse con coerenza e non a corrente alternata, con atteggiamenti propositivi e non solo di chiusura. Non che i politici locali vivano nella venerazione del “No a prescindere”, perché sanno dire anche sì…sì spostate pure il Tribunale, sì chiudete il carcere, sì depotenziate l’ospedale, sì sopprimete la ferrovia. Ma questa è un’altra storia. Da chi amministra poi ci si aspetta un’altra cosa: che tenda ad assumere posizioni politiche che alla lunga non si rivelino dei boomerang. Eppure, tranne poche eccezioni, i politici nostrani nel solco di Renzi hanno invitato la gente all’astensione per il referendum del 17 aprile e in blocco hanno sostenuto al referendum dello scorso 4 dicembre il Sì alle riforme costituzionali che se approvate avrebbero riconsegnato allo Stato la competenza esclusiva in materia ambientale. Grazie a chi ha sostenuto il No gli amministratori locali possono continuare a dire la loro tanto che contro la richiesta della Shell hanno presentato pochi giorni fa un appello per la salvaguardia delle aree naturali protette come alternativa verde al petrolio. L’iniziativa in teoria è lodevole, peccato non sia supportata da alcuna idea progettuale che garantisca frutti nell’immediato. E questa terra è ora che ha bisogno di risultati, non può aspettare i tempi biblici della politica. A sottoscrivere la proposta sono gli stessi amministratori che governano da decenni questo territorio con il principio del “tirare a campare” che, è vero, come avrebbe detto Andreotti, “è sempre meglio che tirare le cuoia” però nel tempo ha portato il Vallo di Diano a sopravvivere chiudendosi su se stesso, a diventare incapace di determinare la propria azione e di condizionare la propria sorte, di progettare collettivamente in nome di uno sviluppo comune. A prescindere dalla questione petrolio, in che condizioni vivrebbe oggi questa terra se in passato invece che “No” ci avessero abituato a dire “perché no?” ? Che non vuol dire “sì” ma indica quell’apertura, quella curiosità e quella accettazione del rischio che forse avrebbe svincolato questa realtà dall’immobilismo in cui è caduta. Per riuscire a farlo avremmo avuto bisogno di una classe dirigente con i piedi piantati per terra e lo sguardo rivolto al futuro, che ci guidasse con passione civile in modo pragmatico e lungimirante. Siamo invece amministrati da un ceto politico autoreferenziale, con vaghe idee e pochi programmi, incapace di cogliere i cambiamenti, inadeguato per conseguire grandi e positivi stravolgimenti, caratterizzato dalla c.d. “mancanza di visione”. E la stessa politica che si è mostrata deficitaria per decenni oggi vorrebbe recuperare i ritardi, le spoliazioni e le violenze inflitti a questo territorio puntando, teoricamente non a torto, sulle risorse infinite di cui disponiamo ma che sono le stesse che per anni ha avuto sotto gli occhi ed è rimasta immobile a guardarle invecchiare e deteriorarsi. E’ vero, è difficile immaginare sviluppo economico in assenza di politiche nazionali e regionali coerenti ma questo troppo spesso ha rappresentato un alibi per sottrarsi alle proprie responsabilità e giustificare la mancanza di progettualità. E’ facile oggi alzare la voce e fossilizzarsi su polemiche contingenti immaginando di avere grandi progetti ma consapevoli in realtà di non aver mai accettato la sfida impegnativa, troppo, di coniugare progresso economico e tutela dell’ambiente per garantire l’ecosostenibilità e al contempo dare alla propria terra l’opportunità di crescere e svilupparsi. Perché ora dovremmo fidarci?

Rosa Romano

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