Nell’area calpestabile dell’antro delle Grotte di Pertosa-Auletta sono iniziate indagini geofisiche del sottosuolo per individuare ulteriori emergenze archeologiche. Vista l’importante presenza dei resti di palafitte protostoriche sommersi dal fiume sotterraneo, tali indagini permetteranno di programmare nuovi futuri interventi di scavo archeologico.
L’applicazione di strumentazioni georadar va ad evidenziare, prima della realizzazione di scavi, eventuali anomalie nel sottosuolo che rendano conto dello spessore e della natura dei sedimenti nonché della presenza di resti e strutture archeologiche.
Le Grotte di Pertosa-Auletta rappresentano una straordinaria “miniera” di informazioni scientifiche sul più antico popolamento della Valle del Tangro, eccezionalmente giunte sino a noi grazie all’azione conservativa svolta dall’ambiente carsico.
Le prime indagini archeologiche furono compiute nel 1898 da due studiosi, Giovanni Patroni e Paolo Carucci, che separatamente condussero i loro lavori nell’ampia antegrotta presso l’ingresso.
Patroni non approfondì oltre il metro, ma emerse comunque un’articolata stratigrafia che restituì numerosi reperti riferibili a differenti fasi di frequentazione umana della grotta. Venne anche alla luce una struttura di legno, simile ad una palafitta che lo spinse ad andare ben oltre il suo iniziale intento, portando alla luce testimonianze sia di età ellenistico-romana sia di età protostorica. Anche le ricerche di Carucci si svolsero sul lembo terroso a destra dell’antegrotta raggiungendo una profondità di 2,80 metri e nell’unico punto in cui raggiunse i 3 metri ebbe la sorpresa di imbattersi in una seconda palafitta.
Le indagini archeologiche moderne sono avvenute negli anni 2009 e 2013: hanno messo in evidenza come un esteso lembo dell’impianto palafitticolo si sviluppi anche lungo il margine sinistro dell’antegrotta, perlopiù sommerso dalle acque del fiume sotterraneo Negro, ed, inoltre è stato appurato che la palafitta si estende anche in ambienti completamente bui. Le datazioni radiocarboniche effettuate sui resti lignei collocano il manufatto alla metà del II millennio a.C.
Le indagini partite ora, che potrebbero portare a futuri interventi di scavo, sono realizzate da docenti dell’Università di Salerno nell’ambito della collaborazione tra la Fondazione MIdA, l’Università degli Studi del Molise e la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Salerno e Avellino.