In appena 6 mesi sono già circa 50 le persone che hanno deciso di togliersi la vita mentre stavano scontando pene all’interno delle carceri italiane. Un numero che può ulteriormente aggravarsi se consideriamo anche i 5 agenti penitenziari morti suicidi in questa prima parte dell’anno 2024. Dati sconfortanti, anche in questo caso dato che, da un’analisi effettuata sugli anni a partire dal 2011 al 2022 risultavano 78 gli agenti di polizia penitenziaria che si erano tolti la vita, il tasso più alto tra le forze di polizia.
Insomma il dramma carceri continua ad essere sempre più un fenomeno allarmante e che impone una seria riflessione. Un problema che, alla luce di quanto accaduto ad un giovane di origini salesi, nella notte tra domenica e lunedì, tocca da vicino anche il comprensorio valdianese ed il lagonegrese. Dallo scorso gennaio, l’Unione Camere Penali Italiane sta lanciando appelli affinché la condizione dei detenuti nelle carceri possa migliorare e trasformarsi effettivamente in una detenzione finalizzata alla riabilitazione e al ritorno ad una vita sana e lontana dalle tentazioni di reati anche gravi. Eppure lo si sostiene in continuazione ma, ai fatti, resta pura utopia.
Secondo quanto emerge, le condizioni in cui versano per persone detenute all’interno delle carceri italiane, lasciano pochi dubbi sulla inadeguatezza delle strutture penitenziarie che, peraltro, fanno registrare numeri spaventosi in riferimento al sovraffollamento con centinaia di detenuti in più rispetto alla capienza naturale. Ma non è solo la capienza a preoccupare l’Unione Camere Penali Italiane, ma anche le condizioni in cui vivono i detenuti e la scarsità delle azioni volte a favorire il reinserimento sano in società degli stessi detenuti, rispondendo dunque a quel messaggio che viene spesso lanciato secondo cui il carcere non deve essere una condizione punitiva ma prima di tutto riabilitativa.
Il fallimento dell’attività carceraria come azione rieducativa, emerge poi in maniera chiara in casi come quelli che, purtroppo, hanno colpito il giovane 21enne di Sala Consilina che, tradotto nel carcere di Paola, non è riuscito a sopportare il dramma a cui era sottoposto e, una volta solo, ha deciso di togliersi la vita, lasciando nel più profondo sconforto la sua famiglia. L’ultimo di una lunga ed infinita serie di drammi che raccontano l’incapacità in Italia, di poter rispondere alle esigenze rieducative della detenzione. Un tema che, già ad inizio anno, aveva portato l’unione Camere Penali Italiane a deliberare per l’astensione dalle udienze per i giorni 7 e 8 febbraio 2024. A quanto pare, una protesta pacifica che non è servita a nulla visti i circa 50 decessi avvenuti durante la detenzione.