Nell’alternanza Scuola-lavoro la Campania è penultima nella classifica delle regioni più “attrezzate”. A dirlo dossier dell’Unsic – Unione nazionale sindacale Imprenditori e Coltivatori
L’alternanza scuola-lavoro è il percorso formativo obbligatorio dal 2015 per le ultime tre classi di tutte le scuole superiori e dal 2019 ribattezzata Pcto – Percorsi trasversali per l’orientamento. Consiste in un periodo di formazione teorica in classe e uno di esperienza più pratica presso un’azienda o un ente di altro genere, ha come fine ultimo quello di avvicinare gli studenti al mondo del lavoro.
Per questo tipo di esperienze la Campania non va bene: è al penultimo posto, rientrando tra i territori con una minore offerta di opportunità per gli studenti. Va meglio però, e qui raggiunge la nona posizione, se tra le strutture disponibili ad ospitare i ragazzi vengono prese in considerazione le sole aziende. La provincia di Salerno è al 96° con 582 strutture disponibili. Nella regione primeggia Avellino al 55° posto con 394 strutture, a seguire Benevento al 61° posto con 239 strutture, Caserta al 91° posto con 547 strutture e Napoli al 104° con 783 strutture. Il posizionamento in classifica non dipende dal numero assoluto delle strutture, ma da questo dato rapportato naturalmente al numero dei residenti e degli studenti.
Al primo posto della classifica delle regioni si conferma la Toscana, seguita da Trentino-Alto Adige e Veneto. A chiudere la classifica Sicilia, Campania e l’Abruzzo fanalino di coda, che conferma l’ultimo posto anche per offerta delle sole imprese, dove primeggiano Veneto, Trentino-Alto Adige e Lombardia.
I territori sono stati “giudicati” principalmente in base al volume dell’offerta di strutture disponibili. Infatti a fronte delle rilevanti richieste scolastiche costituisce una delle criticità ataviche dell’esperienza proprio l’esiguità dell’offerta, che non include solo “imprese” ma anche enti pubblici e privati, musei, associazioni, sindacati, biblioteche, enti sportivi, ecc. “I dati emersi e da noi elaborati – precisano dall’Unsic attraverso le pagine di Le Cronache – possono tenere conto unicamente degli aspetti quantitativi, ma non possono includere gli elementi qualitativi, difficili da individuare anche per l’assenza di monitoraggi istituzionali”.