Vallo di Diano. Operazione Shamar, traffico illecito di rifiuti e inquinamento ambientale: 7 provvedimenti cautelari

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Dalle prime ore di questa mattina, nella provincia di Salerno, i Carabinieri del Comando Provinciale, stanno eseguendo un provvedimento cautelare, emesso dal GIP del Tribunale di Potenza, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 7 soggetti, (uno in carcere, cinque agli arresti domiciliari ed uno sottoposto all’obbligo di dimora), tutti ritenuti responsabili di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti e inquinamento ambientale.

 

L’operazione coinvolge le province di Salerno, Brescia, Napoli, Caserta, Cosenza e Taranto, i militari della Guardia di Finanza di Salerno e Taranto e i Carabinieri del Comando Provinciale di Salerno sono impegnati infatti in un’operazione coordinata dalle Direzioni Distrettuali Antimafia di Potenza e Lecce, con l’esecuzione di due ordinanze applicative di misure cautelari personali e reali, emesse dai rispettivi GIP nei confronti di 45 persone, indagate per associazione per delinquere con l’aggravante del metodo mafioso, finalizzata alla commissione di gravi delitti contro il patrimonio, quali frodi in materia di accise ed IVA sui carburanti, intestazione fittizia di beni e società, truffa ai danni dello Stato.

 

Coinvolte anche ulteriori 71 persone, denunciate a piede libero per reati connessi a quelli di natura associativa.

 

Le attività investigative hanno infatti accertato l’infiltrazione del clan dei Casalesi e del clan Cicala nel lucroso mercato degli idrocarburi nei territori del Vallo di Diano e del Tarantino.

 

I particolari dell’operazione nel corso della mattinata, in occasione di due conferenze stampa, che si svolgeranno in concomitanza, alle ore 11.00, presso la Procura della Repubblica – DDA di Potenza ed il Comando Provinciale Guardia di Finanza di Taranto. Alle riunioni prenderà parte, in videocollegamento, il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo Dott. Federico Cafiero De Raho, unitamente al Procuratore Distrettuale Antimafia di Lecce. Delle oltre 40 persone indagate anche i 7 soggetti del salernitano di cui uno è stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere, cinque agli arresti domiciliari ed uno sottoposto all’obbligo di dimora), tutti ritenuti responsabili di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti e inquinamento ambientale.

 

Persone colpite da provvedimenti:

L.G., classe ’43, residente a Ispani e domiciliato a Sant’Arsenio (in carcere);

G.C., classe ’90, residente a Sant’Arsenio (ai domiciliari);

G.C., classe ’62, residente a San Pietro al Tanagro (ai domiciliari); 

P.Q., classe ’63, residente a Sassano (ai domiciliari);

S.N., classe ’93, residente a Sala Consilina (obbligo di dimora nel Comune);

F.P., classe ’57, residente a Padula e domiciliato a Salerno (ai domiciliari);

R.P., classe ’82, residente a Sant’Arsenio (ai domiciliari).

 

 

Altri particolari della doppia operazione che riguarda il Vallo di Diano:

Il meccanismo illecito disvelato sfruttando le maglie di una normativa che si è stratificata nel tempo e che, in un lodevole sforzo di liberalizzare il mercato ed incentivare la concorrenza e le attività agricole, ha paradossalmente incentivato un giro di frodi all’IVA e di evasione delle accise, che, con poco rischio, ha consentito ad una imprenditoria criminale e mafiosa di frodare lo Stato e mettere in un angolo la concorrenza onesta, accumulando in poco tempo centinaia di milioni di euro.

Oltre al versante tarantino c’è il versante lucano l’indagine – avviata su iniziativa della Direzione Distrettuale Antimafia alla fine del 2018 — partiva da una delega alla polizia giudiziaria (in una fase iniziale i Carabinieri della Compagnia di Sala Consilina e del Nucleo Investigativo di Salerno, poi anche la GdF di Salerno) di procedere ad un’analisi ad ampio spettro sul territorio del basso salernitano (che solo negli ultimi anni è passato alla competenza della DDA di Potenza) allo scopo di individuare operatori commerciali prestatisl come terminale occulto per il reinvestimento di capitali illeciti da parte di sodalizi criminali esogeni.

L’attenzione veniva subito concentrata sulla posizione della società Carburanti Petrullo S.r.l. di San Rufo (SA) e più in generale sulle società di carburanti del Gruppo Petrullo, la quali – per la dinamica delle loro dimensioni, struttura, relazioni e comportamenti “spia” – palesava una serie di profili di incongruità, quali l’inspiegabile aumento esponenziale dei fatturati e degli investimenti nel giro di pochi anni

Emergeva così dalle indagini che il rilevantissimo boom economico della ditta Petrullo coincideva con l’ingresso nelle compagini societarie del Petrullo, quali soci e gestori di fatto, dei componenti della nota famiglia casertana (di San Cipriano d’Aversa) dei Diana, i cui componenti avevano investito nell’impresa, in forma occulta, capitali provenienti – con ragionevole certezza e comunque a livello di gravità indiziaria da pregresse attività illecite, specie nel settore del traffico di rifiuti, attività di rilevantissime dimensionl (cd “Operazione Re Mida”) in relazione alle quali era stata contestata, a suo tempo, dalla Procura di Napoli, a Diana Raffaele, l’aggravante della finalità agevolatrice del clan dei Casalesi.

Dall’inizio del 2019, sono state quindi eseguite — sia dalla DDA di Potenza che da quella di Taranto e dalle rispettive polizia giudiziarie – mirate attività tecniche (oltre alle classiche intercettazioni telefoniche, è stato anche fatto ricorso a captatori informatici, dispositivi gps e microfoni ambientali) che, nel corso dei complessivi 14 mesi dell’inchiesta supportata dalle attività svolte Nucleo di Polizia Economica Finanziaria della Guardia di Finanza di Salerno che, sulla base di autonomi input info-investigativi, aveva avviato (alla fine del 2017) una verifica fiscale ai fini delle accise e dell’IVA nei confronti delle società del Petrullo – al fine di appurare potenziali condotte evasive poste in essere nella compravendita di prodotti petroliferi — che ha portato la DDA di Potenza a contestare ai componenti del gruppo economico criminale facente capo a Petrullo ed ai Diana oltre che i numerosissimi reati di contrabbando, frodi all’IVA, estorsioni e truffe, anche il delitto di associazione a delinquere aggravata dalla finalità di agevolare il clan dei casalesi, attraverso la penetrazione in un nuovo territorio ancora Immune da tale fenomeno (quello del Vallo di Diano) di una imprenditoria criminale apripista del sodalizio mafioso.

Fin dai primissimi riscontri, è stato accertato che la società, attiva nel mercato del commercio di prodotti energetici, era in concreto divenuta il canale privilegiato attraverso il quale la famiglia Diana (si ripete, inquisita per aver “avvelenato”, nel tempo, la propria terra di origine con il traffico di rifiuti) si era infiltrata nel tessuto economico-sociale del Vallo di Diano, stringendo a questo scopo un pactum sceleris con Massimo Petrullo, titolare dell’omonirna società di carburanti ed avamposto dei Casalesi in quel territorio e con altri esponenti dell’imprenditoria locale.

In ragione della complessità della materia sotto il profilo fiscale, è stato affidato al Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Salerno e Taranto il primario compito di quantificare e certificare l’illecito profitto ottenuto dal sodalizio attraverso la sistematica evasione di accise ed IVA, affiancando gli investigatori dell’Arma nella ricostruzione delle diverse fasi dell’articolata frode.

Alla luce degli elementi indiziati raccolti durante le indagini tecniche e l’analisi delle segnalazioni per operazioni sospette, nonché delle risultanze delle attività amministrative svolte dai Finanzieri salernitani, il contesto investigativo è stato esteso a partire almeno dal 2015, anno in cui sono stati rilevati i primi contatti tra il Diana Raffaele e Petrullo Massimo ed i rapporti commerciali tra questi ed aziende del casertano (area, peraltro, sotto l’influenza anche della stessa famiglia Diana) e poi quelli stabili con le aziende riferibili al clan mafioso tarantino di cui sopra si è detto.

I capitali così illecitamente acquisiti venivano successivamente reimpiegati, tra l’altro, nell’acquisizione di beni immobili e quote societarie, realizzando un’economia illecita “circolare”, che ha permesso alla famiglia Diana di affermarsi gradualmente quale player commerciale di riferimento nella compravendita illegale di idrocarburi nel Vallo di Diano, alterando pertanto le dinamiche del libero mercato e della concorrenza.

Tra i due gruppi, quello campano/lucano e quello tarantino, nondimeno, dopo una stretta e proficua collaborazione, sono via via sorte forti fibrillazioni, soprattutto legate al fatto che il Petrullo, resosi conto di aver quasi completamente perso la concreta gestione della propria società (ormai di fatto ln mano ai Diana), aveva tentato di accordarsi in segreto con i tarantini.

Tali attriti (era stato perfino assoldato un killer per uccidere Raffaele Diana, tentativo poi abbandonato) non sfociati in una vera e propria “guerra” solo in ragione del mutuo interesse a non sollevare eccessivi allarmi sulle attività illecite perpetrate, estremamente lucrose per entrambe le parti.

Varie, del resto, le ulteriori condotte illecite accertate al termine delle investigazioni (estorsione, illecita detenzione di armi, turbaia liberià degli incanti, dichiarazione fraudolenta, falsità ideologica e nella tenuta dei registri, favoregiamento Personale, rivelazione di segreto e corruzione per atti contrari ai propri doveri, etc.), tra cui anche la partecipazione ad una gara per la fornitura di carburanti a favore del Consorzio di Bonifica dei Bacini del Tirreno Cosentino, aggiudicata attraverso un accordo irregolare, garantito dalla vicinanza con un esponente della criminalità locale, in grado di imporsi anche in un territorio differente da quello di elezione. E’ stato acclarato il pieno coinvolgimento in questo episodio di un dipendente del Consorzio, oggi sottoposto agli arresti domiciliari.

E stato altresì ricostruito il ruolo di informatore tenuto da un carabiniere “infedele” che, in cambio di svariate taniche di gasolio poi vendute a terzi, ha fornito al sodalizio informazioni inerenti alle attività d’indagine a carico dei consociati. Nei confronti del militare – condotto in carcere – l’Arma, d’intesa con l’Autorità giudiziaria, ha immediatamente assunto provvedimenti di rigore al manifestarsi del suo coinvolgimento, trasferendolo, già nel novembre 2019, fuori dalla provincia salernitana in incarico non operativo.

Particolarmente notevole l’entità delle misure reali, accolte dai GIP di Potenza e Lecce, i quali hanno disposto il sequestro preventivo delle società Carburanti Petroli S.r.l., Dipiemme Petroli S.r.l., Tor Petroli S.r.l., Autotony S.r.l. ed altri 8 compendi aziendali oltre a denaro contante, veicoli, camion, autocisterne, immobili, beni di pertinenza dei singoli indagati, fino alla concorrenza di un ammontare complessivo di circa 50 milioni di euro.

 

 

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